Presentazione a cura di Giampiero Costa - 2013
Le gioiose dissolvenze di Arrigoni
Non ho particolari titoli per parlare delle sculture di Arnoldo Arrigoni, se non quelli dell'amicizia, della stima, e dell'apprezzamento, da profano, di un'arte difficile, impegnativa, e un po' misteriosa, che Arnoldo coltiva da anni con discrezione, assiduità e passione.
Con l'esposizione che si inaugura oggi, Arnoldo si ripresenta al pubblico, dopo un silenzio di due anni, con una scelta di opere che testimoniano da un lato il suo lungo lavoro di ricerca, dall'altro il conseguimento di una maturità artistica che trova la propria forza di espressione nella fedeltà a se stessa, nell'armonia delle forme, nell'invenzione dei soggetti.
Credo sia infatti possibile scandire l'itinerario di Arnoldo in tre tempi che, pur rimanendo per lo più cronologicamente distinti, intrecciano tra loro tenaci relazioni e producono fertili rimandi.
Il primo tempo, che possiamo chiamare "degli esordi", costituisce l'apprendistato artistico di Arnoldo e si ispira, per sua stessa ammissione, alla lezione di Alberto Giacometti.
Le opere di questo periodo sono un evidente omaggio al maestro.
Rappresentano figure umane dai corpi scarni, con lunghe braccia esili e gambe sottili, ma con una postura che segna invece la volontà di abbandonare il senso di tormentata solitudine esistenziale dei corpi di Giacometti e suggerisce piuttosto un intento effusivo di amicizia e di amore. Per un personale desiderio di superamento, le opere di questa fase non figurano in questa mostra.
Il secondo tempo potrebbe essere definito "periodo della rotondità" e registra uno scarto abbastanza deciso rispetto alla produzione precedente.
Si passa infatti dalla secchezza e dalla spigolosità delle figure giacomettiane a elementi caratterizzati dal gioco curvilineo, che rende i soggetti sinuosi e morbidi, i quali spesso alludono metaforicamente ad una pronunciata femminilità declinata nella funzione di ancestrale terra madre e di emblema erotico.
Cinque opere qui esposte rientrano a mio avviso in questo gruppo: sono A Sandro, Sirena, Salto nel continuo, Plaza de Marte, Dolci percezioni.
Come sugggerisce la dedica, la scultura A Sandro elabora il lutto della scomparsa di un amico.
Essa rappresenta efficacemente la perdita degli attributi corporei e il distacco dalla terra, nel tentativo di raggiungere una dimensione metafisica in un anelito laico di ritorno alle origini.
Questo slancio verso l'alto rappresenta, come vedremo, la costante delle opere di Arnoldo, e si può immediatamente osservare in Sirena , dove un etereo foglio di carta, avviluppandosi su se stesso, si trasforma in seduttiva figura mitologica.
Plaza de Marte è una scultura permeata di ironia, perché l'immagine della piazza del dio della guerra, espressione di bellicosa virilità, è capovolta e ingentilita dalla presenza delle donne che vi incedono pacificamente.
Dolci percezioni ci riporta agli stilemi originari dedicati all'incontro e al dialogo del primo tempo, ma in qualche modo prelude agli sviluppi futuri, soprattutto dal punto di vista formale: la coppia in tenera attitudine, affusolata e protesa verso l'alto, è il prodotto di una consapevole originalità sviluppata nel solco della tradizione.
Salto nel continuo chiude la serie.
La figura femminile distesa mi ha suscitato due reminiscenze letterarie: la prima è la rappresentazione della Natura che dialoga con l'Islandese nella celebre operetta morale di Leopardi; la seconda riguarda l'abitudine di Cesare Pavese di paragonare le colline delle sue Langhe a dolci seni di donna.
Ed è proprio nel silenzio assorto della contemplazione della natura, esercitata nella domestica geografia del Monte Generoso e delle sue pendici, che Arnoldo passa dall'idea alla messa in atto, dall'intuizione del pensiero alla sua traduzione nel linguaggio non verbale della forma artistica.
Veniamo così al terzo tempo, il più recente, che chiamerei della "gioiosa dissolvenza", e al quale si ascrivono le altre sculture esposte: Quattro segni, All'alba, Bea d'estate e Il cielo si è posato su un filo d'erba, per questo trema.
Queste opere sono tutte caratterizzate da una instancabile ricerca di sobrietà e di essenzialità.
Rispetto all'esperienza precedente, sembra impossibile che i tratti delle figure possano rastremarsi ulteriormente, al punto verso cui Arnoldo li spinge, senza che ridiventino scarnificati e ruvidi come alle origini.
Eppure, a osservarle con attenzione, queste forme scavate all'interno, lisciate e assottigliate fino all'inverosimile, sembrano dissolversi nell'aria che le circonda, senza tuttavia perdere vigore né rotondità, acquistando anzi una leggiadra eleganza.
Il gioco dell'artista si fa raffinato, volge alla conquista di un delicato equilibrio, di una pacificata armonia.
Armonia tra pieno e vuoto, quando si tratta delle cinque figure muliebri (il pieno) che ne lasciano scorgere altre quattro, i Quattro segni del titolo, negli interstizi di vuoto tra l'una e l'altra.
Armonia tra cielo e terra, quando le bandiere dei cantoni svizzeri della tenda di Mario Botta sono trasformate nelle svettanti figure antropomorfiche radunate in cerchio di All'alba , oppure quando la brezza vince la tenue resistenza dei riccioli danzanti della vite in Bea d'estate .